RecoveryPlan, riportiamo i processi decisionali nelle istituzioni

RECOVERY PLAN, RIPORTIAMO I PROCESSI DECISIONALI NELLE ISTITUZIONI 

di Alessandra B. Fata (Ala elettorale italiana Diem25)

Recuperiamo il ruolo della politica e riportiamo il cuore del processo decisionale nelle istituzioni

128 pagine, un possibile emendamento alla legge di bilancio, che probabilmente non verrà discusso almeno in un ramo del parlamento: lascia francamente perplessi il disegno di governance proposto dalla Presidenza del Consiglio per la gestione del Recovery plan.

Una proposta opaca che presenta profili di criticità tali da poter compromettere la realizzazione del Piano e minare l’efficacia dell’azione amministrativa: non si può dissociare la qualità dei progetti dalla capacità di attuazione e dalla relativa capacità di spesa.

L’ipotizzata cabina di regia infatti presuppone una struttura sovraordinata e parallela alle competenze ministeriali

Ciò lascia spazio a diversi ordini di riflessioni:

  1. Storicamente nel nostro Paese la performance di task force e cabine di regia è stata spesso infruttuosa e deludente: come è stato rilevato da qualche noto articolista, affidare le determinazioni ad una commissione significa non decidere niente.
  2. Conferire poteri a manager esterni, senza peraltro chiamarli ad assumere responsabilità istituzionali all’interno delle amministrazioni, contribuisce ad una ulteriore disarticolazione del Sistema-paese, già notevolmente indebolito, nel corso di questa pandemia, dagli scontri tra Stato e Regioni sulle principale decisioni, soprattutto in materia sanitaria, relative alla crisi pandemica.
  3. Quanto è alto il tasso di fiducia riposto nelle strutture ministeriali italiane e nelle risorse umane preposte? Non molto, vista il progetto di esternalizzazione ad esperti, 6 stratosferici manager cui attribuire poteri e funzioni straordinarie scelti su base amicale e con un “consulentificio” di altri trecento tecnici, selezionati sulla stessa base. Eppure i dirigenti statali in posizione apicale, oltre ad essere loro stessi per primi nominati direttamente dal Governo, costano già tantissimo allo Stato italiano, anche perchè, dopo la riforma Bassanini, della dirigenza, percepiscono oltre allo stipendio ingenti somme di danaro per il raggiungimento dei cd. “obiettivi”, che altro non sono se non una declinazione dei compiti istituzionali assegnati nel contratto al momento della sottoscrizione.
  4. Ci si aspetterebbe quindi, come parte del plan stesso, un consolidamento delle strutture ministeriali cui affidare il compito di attuare il piano. Invece, mediante l’edificazione di una struttura parallela da cui il Parlamento è tagliato fuori si corre il fondato rischio di esautorare il Paese dalla progettazione del proprio futuro.

Anche la ripartizione delle somme del Recovery plan italiano suscita interrogativi:

49 miliardi per digitalizzazione e innovazione, circa 74,3 per l’area rivoluzione verde e transizione ecologica, 27,7 miliardi alle infrastrutture per una mobilità sostenibile, poco più di 19 e 17 rispettivamente per istruzione e ricerca e parità di genere (intesi per parità di genere e inclusione sociale) e, infine, 9 miliardi da destinare all’area sanità.

Perchè solo 9 miliardi alla sanità? Appare una cifra largamente insufficiente per sopperire alle carenze del sistema sanitario evidenziate dalla pandemia e per andare incontro alle esigenze dettate dal piano di vaccinazione della popolazione.

Viceversa i fondi del Next Generation EU vanno utilizzati per rafforzare e innovare la pubblica amministrazione e non per mettere da parte Ministeri, Regioni, Parlamento

Ci auspichiamo, da parte del Governo quindi una totale della revisione della logica politica e organizzativa per la formulazione e la gestione dei 209 miliardi del piano da presentare in Europa.

 

Alessandra B. Fata (Ala elettorale italiana Diem25)

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